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Per la sua terza prova narrativa, Sandro Capodiferro ha deciso di esplorare di nuovo e con rinnovato vigore espressivo l’universo femminile. Il romanzo s’intitola “Peccaminosa” e anche questo, come “Storie da un sogno” e “Fiori di agave sulla collina delle fate”, è pubblicato dalle Edizioni Libreria Croce. Evidentemente esiste un feeling radicato e positivo fra l’autore e l’editore, e questo non può che farci piacere. Dopo un entusiasmante racconto di formazione e una vicenda legata ad un prezioso scavo introspettivo, dunque, l’autore ci fa compiere un viaggio nel tempo e nello spazio, adottando come prospettiva narrativa ed etico-psicologica i sette peccati capitali. Un viaggio che inizia nell’Impero Ottomano (1809) con l’accidiosa Fatma e che si conclude in Cile (2007) con la lussuriosa Carmela. Le “tappe intermedie” sono rappresentate da altre cinque figure femminili di grande presa sul lettore: la superba Emily nell’Inghilterra del 1854, l’invidiosa Ivette nella Francia del 1879, la golosa Miroslava nella Russia del 1919, l’iraconda Allison nel Texas del 1947 e l’avara Conchita nel Messico del 1980. Sette donne, sette vicende esemplari, originali e coinvolgenti, realizzate ciascuna con intensa capacità evocativa e originalità di stile.

Impossibile sintetizzare le singole storie. Significherebbe impoverirle della loro stessa essenza. Sveliamo solo la forza simbolica di una preziosa spilla che per tutto il libro passa in mano in mano, attraverso gioie e dolori, anni e personaggi, crisi e rinascite. Una spilla che ci accompagna come silenziosa testimone di questa totale immersione dell’autore nella complessa dinamica fra il peccato e la grazia, la colpa e la redenzione, il desiderio e la catarsi. Il lettore resta colpito e anche turbato da questo intrecciarsi di sette destini lontani nel tempo e nello spazio ma intimamente legati tra loro da un filo tanto sottile quanto tenace. “Peccaminosa” è un romanzo forte e sorprendente, senza prediche e senza moralismi: un esempio coraggioso di quella letteratura alternativa che non vuole essere l’occasione di un facile intrattenimento ma una “piscina di parole” nella quale, chi “nuota”, sperimenta l’ansia di annegare ma anche la speranza di trovare quella piccola onda che può riportarlo in salvo. (Gianni Maritati – Prisma)

Un romanzo di formazione giocato tra la parabola filosofica e le suggestioni tipiche della narrativa fantasy: è il romanzo di Sandro Capodiferro “Storie da un sogno” (Libreria Edizioni Croce). Il protagonista si chiama Ginetto ed è un ragazzo che come i suoi coetanei del paese di Noverosi deve lasciare la propria casa e vivere per ben cinque anni in terre lontane per diventare un uomo. Un viaggio straordinario, ricco di simboli, incontri e sorprese, alla conquista della maturità e quindi di una nuova consapevolezza. Un racconto nel quale lo stile lineare e cristallino coinvolge e appassiona il lettore facilitando un piacevole meccanismo di identificazione. (Gianni Maritati – Prisma)

Come un guscio di noce di Sandro Capodiferro (tratto dal romanzo Storie da un sogno)

“C’era una volta, in una parte del pianeta non meglio identificata, una pianura verde immersa tra boschi e vigneti nella quale lento e pacifico scorreva un fiume. Le sue acque provenivano da molto lontano, da posti dimenticati al riparo da sguardi indiscreti, e proprio per questo il suo incedere sicuro non consentiva ad alcuno di navigarlo. Molti erano stati coloro, che avevano tentato l’impresa chi più chi meno tutti con lo stesso risultato: qualche attimo sulle acque in precario equilibrio e poi rovinosamente tutti annegati tra i flutti. Un giorno un piccolo guscio di noce si trovò a rotolare proprio sulle rive del grande fiume e ad avvicinarsi fin quasi a sfiorarlo. Com’erano belle ed invitanti le sue acque. I riflessi azzurri delle piccole onde abbagliavano gli occhi e il dolce crepitio dello scorrere risuonava caldo come un falò in una fredda notte d’inverno. A fatica il piccolo guscio si spinse oltre e si sporse da un ciottolo per meglio osservare quella meraviglia. Il fiume incuriosito da tanto interesse dal canto suo allungò appena il braccio di un’onda e portò nel suo letto il piccolo guscio. Dapprima frastornato ed impaurito nel trovarsi tra i flutti, il tenero guscio cominciò in equilibrio a dimenarsi tra le acque. La paura di bagnarsi al punto di affondare annegando era molta, ma con l’andare del tempo si accorse che la sua scorza era molto dura e che, anche se piacevole sentirsi scorrere l’acqua tra le rugose forme, nulla gli sarebbe accaduto se non il piacere di vedere cosa c’era al di là della pianura e di provare quelle sensazioni altrimenti negate a chi non va per mare.

Dovete sapere che il piccolo guscio portava al suo interno una minuscola piuma ancorata ben salda ormai da tempo all’interno delle sue cavità quasi a farne parte inscindibile. Accadde un giorno che, durante la navigazione, un sobbalzo violento staccò la piuma dal guscio la quale cominciò così a volare libera su di esso. Il piccolo guscio disperato cominciò a scivolare sulle acque tentando di riprendere la sua piuma non tanto perché le mancasse ma perché era talmente sua quella presenza che senza di lei gli sembrava di essere menomato e solo, alleggerito di quel corpo etereo che tanto faceva parte di lui.

Il fiume accortosi dell’accaduto cercò in tutti i modi di aiutare il piccolo guscio: alzandolo su di onde fragorose, spruzzando acqua sulla piuma affinché si appesantisse e ricadesse nel guscio, addirittura fermando il proprio scorrere …. che per millenni era stato lo stesso. A nulla valsero i tentativi del fiume finché la piuma, nel suo volare libera, rimase impigliata in una ragnatela e il piccolo guscio la vide portar via da un grande corvo nero.

“Povero me” cominciò a piangere “l’ho avuta dentro per così tanto tempo che ormai non riesco più a farne a meno”. Le lacrime scendevano copiose e più passavano le ore più il guscio si riempiva di esse rendendo sempre più difficile galleggiare. Il fiume visto ciò che stava accadendo riprese a scorrere e,  approfittando di una rapida intorno ad uno scoglio, sbalzò il guscio dal suo letto facendolo volare sulla riva opposta salvandolo dall’annegare … augurandogli che un corvo lo ricongiungesse alla sua piuma.

Morale: i fiumi scorrono lenti accarezzando i piccoli gusci impauriti, portandoli oltre i confini di quanto desiderano, ma rinunciando a loro laddove il viaggio non è più desiderio. Le piume accarezzano i piccoli gusci volando su di essi e se una ragnatela le ferma, per loro, si ferma anche un fiume …. Ma questo le piume non lo sanno e i gusci dalla riva stanno a guardare …..”

PREFAZIONE PER IL ROMANZO  “FIORI DI AGAVE SULLA COLLINA DELLE FATE

Di Gianni Maritati

    Le esistenze di Felicita e Adele, le protagoniste di questo appassionante romanzo di Sandro Capodiferro, s’intrecciano come le eliche del DNA. Ad un primo impatto, è impossibile cogliere la classica distinzione tra vita e letteratura, realtà e finzione, idealità e concretezza. Ma è proprio questo il fascino del libro, bello e seducente fin dal titolo, poeticamente fantasy.

   Una storia doppia e duplice che ci immerge nell’universo di due donne in bilico fra razionalità e follia ma ugualmente fragili. Questo sdoppiamento dell’universo femminile permette all’autore di affilare le armi del suo sguardo introspettivo, affettuosamente complice. Specie in questo suo accompagnare le protagoniste dall’altra parte della vita: quella dimensione ardente e burrascosa che ti scuote dentro e ti mozza il fiato con il suo fascino pericoloso. Una dimensione che all’improvviso, ma inesorabilmente, è capace di scuotere anche la vita più solida e normale, più ancorata alle certezze della morale e della tradizione.

Camminando sulle orme poetiche di Guido Gozzano, Felicita è la Felicità (dell’essere umano) che l’uragano di Dioniso immerge e sbaraglia, travolge e sconquassa. Puoi affaticarti per decenni a costruirti una esistenza morbida, laboriosa e tranquilla, tanto prima o poi devi fare i conti con la “tempesta” che ti fa fare naufragio sull’isola shakespiriana di Prospero. L’autore, sensibile come un’antenna dello spirito o un sismografo della coscienza, soffre con i suoi personaggi e li racconta con partecipazione. Usando, come punto di congiunzione fra i destini delle protagoniste, un libro. Un piccolo, semplice libro le cui parole diventano onde che si abbattono come materia dura sulla vita tranquilla di Felicita. Pagina dopo pagina, per Felicita la scoperta dell’altra diventa scoperta di sé. E il lettore viene coinvolto, anzi risucchiato in questo turbinio di autocoscienza, minato da dolorose rivelazioni. La “fine”, lo lascerà sbalordito e conquistato da una narrazione che pazientemente e magicamente ricompone le tessere di un affresco o i fotogrammi di un film: avvolgente e avvincente.

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© Sandro Capodiferro